Fummo plasmati di Terra e acqua; a farlo fu la Cura, la quale chiese poi a Giove di donarci lo spirito. Seguì una controversia per decidere chi fosse il padrone della Creatura, il nostro padrone. Il giudice fu Saturno, che stabilì: alla morte della Creatura, il suo corpo tornerà alla Terra e lo spirito sarà di Giove.
Ma finché ella vive, sarà della Cura.
Cura teneat, quamdie vixerit.

(Da una novella che la tradizione attribuisce a Igino, erudito liberto di Augusto)

BimboTeatro è in connessione con le origini dell’uomo, ne interpella la parte primitiva che è latente in ognuno, seppure ben scritta nel nostro codice genetico.
Allena il bambino a percepire il suo istinto primordiale e portarlo all’epifania in un contesto liberatorio, non giudicante e scevro di inibizioni e manipolazioni.
Allena anche gli operatori partecipanti a mettersi in contatto con questa parte primitiva, così che la relazione col bambino sia ontologicamente autentica come relazione di cura.
Per Heidegger la Cura è l’essenza dell’uomo, costituisce la sua dignità, configura la sua esperienza quotidiana nel mondo. Finché è in vita -affinché viva- l’essere umano abita il mondo in una costante relazione di cura con le cose, con se stesso e con gli altri. In particolare, si intende con Cura dell’altro la dedizione al progetto autentico che lo rappresenta e al quale la sua natura lo chiama, il potenziale massimo, la sua perfectio, per Aristotele l’entelechia. Essere consapevoli che alla cura siamo ontologicamente chiamati, è per Heidegger il motivo fondamentale per cui ciascuno deve essere lasciato – o ricondotto ad essere – protagonista del proprio progetto di vita e qualsiasi relazione di aiuto si inneschi con lui deve essere in direzione della conferma di questa trascendenza: non ha senso una relazione di cura che si sostituisca all’individuo, allontanandolo dall’attuazione dei propri desideri, o che intervenga a suggerirne degli altri, o ancora che lo conduca all’avvilimento delle sue potenzialità.
L’attore informale esegue un training costante, quotidiano nel lavoro individuale e sistematico nel gruppo di ricerca, così da interpellare e restare sempre in contatto con quella parte primordiale del suo spirito che lo chiama alla cura. La relazione di aiuto di cui si fa carico durante e oltre il laboratorio riesce così ad essere autentica, reciproca e inclusiva e per questo efficace*.
Per Carl Rogers una relazione d’aiuto efficace conduce, attraverso cambiamenti di percezioni e di comportamento, alla trasformazione; il professionista che si pone in relazione d’aiuto con l’altro deve immaginare, sognare questa trasformazione e desiderarla accanto a lui. Nella teoria della personalità, lo stesso Rogers ci svela che Il comportamento di ciascuno non è altro che una serie di tentativi atti per soddisfare i propri bisogni come egli li percepisce, muovendosi nella realtà così come egli la percepisce. Le emozioni accompagnano e auguratamente facilitano il comportamento orientato a scopi; se mi trovo in un clima relazionale positivo, non giudicante e intriso di accettazione, abbasso le difese e avvio un progressivo percorso di ristrutturazione del mio campo percettivo. L’attore informale sa che ogni bambino entra all’interno del laboratorio con la propria percezione delle cose, degli altri e dei significati: non può che considerare ogni visione del mondo come una realtà, perché è così che il bambino la vive, non come una interpretazione. Egli accoglie ogni realtà percepita e la combina con la propria, consapevole, lui invece, che quella propria è una interpretazione. All’avvio del laboratorio, la fiaba prende vita in molteplici percezioni diverse e da queste viene agita, restituita e condivisa: un crocevia di significati che si incontrano e avviano trasformazioni; questo avviene solo a patto che ogni visione del sé e del mondo venga accolta come reale e valida, cioè intrisa di valore. Contemporaneamente, l’attore si pone in una relazione asimmetrica, come è necessario che sia la relazione educativa; egli ha quindi un potere, da intendere sempre come responsabilità, mai come attribuzione di maggior valore alla propria struttura percettiva. Accoglie questa responsabilità e la declina a servizio dello sviluppo del potenziale di ciascuno, accompagnando i cambiamenti necessari al singolo per esprimere il meglio di ciò che egli è in potenza. Come suggerisce don Milani, egli vive in una dimensione profetica: è chiamato a togliere ostacoli che non permettono di rappresentare il progetto di vita nel suo divenire, a vedere, prevedere, aiutare a fare per mettere in campo attività che, giorno dopo giorno, sottraggono spazio all’aiuto. Lo sguardo profetico è contrapposto a quello meramente contemplativo: l’attore informale partecipa e agisce nel tempo e nello spazio del laboratorio, conoscendo i desideri e il potenziale dei singoli così da centellinare gli interventi e renderli leggeri, non invadenti, suggeriti non dalla contingenza, bensì da un progetto lungimirante, che mira al potenziale. Riprendendo l’assetto filosofico di Heidegger, diremmo necessari gli interventi di aiuto laddove il singolo entra in uno stato deiettivo, cioè si allontana dalla propria natura.
La metodologia BimboTeatro costruisce un’azione educativa consapevole, attivatrice di risorse dai singoli e dal gruppo, affidando la regia a un professionista che conosce il valore attuale e potenziale delle persone che gli sono affidate e lavora in direzione della loro conferma e crescita.
Profeta e alchimista, l’attore informale muove alla ricerca dell’entelechia del bambino e, nell’attivazione di un’efficace relazione d’aiuto, per lui sogna, annuncia e prepara la sua trasformazione in oro.

*Carl Rogers ha indagato a fondo quali siano i parametri fondamentali per l’efficacia di una relazione d’aiuto: essa deve fondarsi sulla comprensione empatica, sul proporsi in maniera autentica, sulla sospensione del giudizio, sulla convinzione della positività dell’altro; deve escludere comportamenti oppressivi o sostitutivi del primato dell’esperienza personale diretta.