Nella metodologia BimboTeatro lo spazio acquisisce una valenza fondamentale: la strada magica, unica vera traccia accessibile e concreta, si fa palcoscenico esteriore e interiore di tutta un’esperienza personale e magica per quarantacinque ricchi minuti. Quel tratto di carta adesiva è il luogo dove tutto può accadere, è il richiamo che si fa rito, è l’inizio di un viaggio emozionante e coinvolgente, ma sa essere anche limite costruttivo e richiamo all’attenzione. Essa allena la concentrazione e l’ascolto, arricchisce l’esperienza sociale ed emotiva, che viaggia attraverso la possibilità concreta di tutti di guardarsi negli occhi ed entrare in empatia. L’attore informale è l’unico a disporre di pochi e semplici oggetti (sonori, tattili…) con alcuni dei quali i bambini possono interagire direttamente, con altri indirettamente. Oggetti dai forti richiami emotivi volti a stimolare il loro intrinseco e fisiologico pensiero magico che si fa palcoscenico stesso del laboratorio. E’ proprio la ripetizione-variazione il mezzo attraverso il quale l’attore informale, in ogni laboratorio, costruirà un rapporto di fiducia, conducendo i bambini alla gradualità della scoperta di se stesso e del suo spazio. E’ proprio lo spazio, neutro ma evocativo, che richiama all’esplorazione. In BimboTeatro e nella sua metodologia, arriva forte l’esigenza di “spogliare” i luoghi da tutto ciò che è posticcio e preconfezionato, dando allo spazio la valenza più significativa e all’attore informale la missione di trasmettere energia di azione, che si ricarica ad ogni laboratorio, ad ogni contatto, ad ogni sguardo. La chiave che apre ogni porta è l’ascolto. E’ proprio su di esso che mi ha colpito un discorso di Franco Lorenzoni che ha espresso, usando un aneddoto storico, la grande importanza che da sempre ha nella comunità e nella scuola il saper ascoltare creando spazi appositamente strutturati anche nelle città, come accadeva nella civiltà greca ad esempio. Nella seconda metà dell’Ottocento sono stati rinvenuti, durante la costruzione della stazione ferroviaria da Catania a Siracusa, i resti di una antichissima città, riconosciuta come Megara Hyblaea, fondata dai greci circa duemilasettecento anni prima. Lorenzoni pone l’attenzione sul fatto che nel centro di questa antichissima città, c’è uno spazio vuoto. Nessun tempio, non un palazzo, o una statua a decorare quel grande cerchio totalmente spoglio. Perché? Lorenzoni fornisce una risposta che è poi ciò che mi ha portato a riflettere: “E’ importante pensare che la più antica traccia di democrazia sia nel vuoto. Perché il vuoto, uno spazio vitale non figurato, è anche quello che noi dobbiamo creare in classe se vogliamo provare ad instaurare un rapporto democratico con i ragazzi. Siamo in un mondo in cui c’è sempre un po’ troppo pieno e, invece, l’ Ascolto si fonda sul vuoto”. Ed è proprio lo stesso vuoto che si prefigge Bimboteatro: uno spazio sospeso dal giudizio, privo di orpelli che pone al centro il bambino. Ascoltare, all’interno del laboratorio BimboTeatro, significa mettere in pratica tutte quelle “parole-chiave” che, lavorando in gruppo negli ultimi seminari formativi, sono risultate essere comuni a tutti. Empatia, prima tra tutte, che corrisponde all’ “essere visto”. Ogni bambino vuole fortemente essere visto come individuo singolo ma riconosciuto all’interno di un gruppo ed è questa la motivazione che ha spinto la mia compagna attrice informale Claudia ad una spiccata riflessione. Ne “I tamini della luce nel paese dei sogni”, ultima delle fiabe agite BimboTeatro, c’è un momento molto potente di appartenenza e ritualità che spinge tutti ad un’attesa: quando l’attore informale, con della semplice farina, fa un segno bianco sui nasini di tutti i bimbi, trasformandoli in “tamini”. Claudia si chiedeva come fosse possibile che tutti, sempre, in ogni incontro, riuscissero ad aspettare che l’attore informale finisse il giro ultimando fino all’ultimo nasino, per poi partire alla volta della strada magica. La risposta si ravvede nella potenza dell’ascolto, nella potenza dell’attesa che si carica di significato e ritualità ancestrale. Individui diversi, ma uniti dall’appartenenza allo stesso gruppo, uniti dallo stesso scopo: esplorare, cercare e scoprire, usando il corpo liberamente nello spazio e imparando a modularne tante funzionalità diverse in funzione dei compagni e nella costante regolazione del sé, rispetto alla comunità attorno a lui. Quello che vediamo accadere in ogni laboratorio quando guardiamo i bambini negli occhi, è una forza propulsiva ed una magia “arcaica”, capace di restituire fiducia agli insegnanti, agli educatori e alle famiglie.